1. Da Beagle2 non abbiamo imparato nulla

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1. Da Beagle2 non abbiamo imparato nulla
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Succedeva nel 2003: l’Europa alle prime armi nei voli interplanetari decide di atterrare su Marte, con il lander britannico Beagle 2. Dal giorno dell’atterraggio, però, del piccolo lander si persero le tracce. Per circa 12 anni. Cosa sia successo, non si è mai saputo e probabilmente non si saprà mai. Con i racconti di Paolo Ferri.

Musiche:

“Contagion”, Scott Buckley
“Sneaky Snooper”, instrumental brother

Trascrizione automatica, verifica e formattazione in corso

 

Paolo Ferri: Io credo che sia i britannici che l’ESA abbiano preso molto sottogamba l’atterraggio su Marte.

Valentina Guglielmo: Il 19 dicembre 2003, dopo un viaggio di 6 mesi, la sonda Mars Express stava per inserirsi in orbita attorno a Marte. A bordo c’era anche Beagle 2, un lander britannico che avrebbe dovuto posarsi sulla superficie del pianeta rosso il giorno di Natale. Per l’Europa era la prima volta su Marte.

Dopo essersi separato da Mars Express, Beagle 2 iniziò la sua discesa verso il pianeta. Sarebbero stati sei giorni di silenzio, durante i quali il lander non avrebbe potuto comunicare né inviare informazioni a terra. Questo silenzio, però, è durato quasi 12 anni.

La voce che avete sentito all’inizio è di Paolo Ferri, un fisico che ha lavorato per quasi 40 anni al centro di controllo missioni dell’Agenzia Spaziale Europea. Avendo lavorato negli anni precedenti alla preparazione della missione Mars Express, in quei giorni era anche lui nella sala controllo, ad attendere da Beagle 2 un segnale che non è mai arrivato.

Sono Valentina Guglielmo e questo è un podcast di Media INAF che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali. Si chiama “Houston”.

[Musica]

Dicembre 2023. Sono in aeroporto a Venezia, direzione Francoforte. Nel pomeriggio ho appuntamento con Paolo Ferri a casa sua in città per una lunga intervista.

Signore e signori, ci stiamo avvicinando all’aeroporto di Francoforte. Vi preghiamo di assicurarvi che il bagaglio a mano sia ben sistemato.

A Francoforte il cielo è grigio scuro, impenetrabile ai raggi solari. Mi sento a casa. Sono una giornalista, ma di formazione sono astrofisica e mi sono trasferita in Germania, a Monaco di Baviera, subito dopo il dottorato per lavorare come ricercatrice per circa 3 anni. È la prima volta che ci torno dopo il mio rientro nell’autunno del 2020.

Mentre attraverso la città a piedi, provo a immaginare come sia Ferri di persona. L’ho visto solo una volta in videochiamata, dopo aver letto il suo ultimo libro “Le sfide di Marte” e avergli proposto di collaborare a “Houston”. Ferri ha visto nascere e crescere l’operazione spaziale all’ESA. È stato direttore di volo di molte missioni ed è stato anche a capo del dipartimento di missioni interplanetarie. Per questo sarà un ospite fisso di questo podcast.

Sì, sono Valentina. Bene, allora la porta è aperta. Salga al quarto piano.

L’ascensore si apre proprio davanti alla porta d’ingresso. Ecco, Paolo è esattamente come me lo immaginavo. Mi accoglie insieme alla moglie Lucilla, anche lei italiana, e ci accomodiamo in salotto per cominciare la nostra chiacchierata. Durerà molte ore. Cominciamo da Beagle 2, il primo lander europeo che ha tentato, fallendo, l’atterraggio su Marte. Aveva viaggiato fin lì a bordo della sonda Mars Express che, dopo più di 20 anni, si trova ancora in orbita attorno al Pianeta Rosso.

Prima di andare avanti, però, vediamo qual è la differenza fra lander, orbiter e rover.

L’orbiter, giunto in prossimità di un pianeta o di qualunque altro corpo celeste, gli orbita attorno senza toccarlo mai. Il lander, invece, scende sulla superficie del pianeta e lì si posa, restando fermo. Anche il rover si posa a terra, ma una volta giunto al suolo è in grado di muoversi come un’automobile. Ecco, Beagle 2 era un piccolo lander a bordo dell’orbiter Mars Express.

Beagle 2 prende il nome dalla nave che ospitò Charles Darwin nel suo secondo viaggio verso il Sud America, cominciato il 27 dicembre 1831. Così come la nave diventò celebre perché consentì a Darwin di raccogliere campioni fondamentali per formulare la sua teoria dell’evoluzione della specie, l’intento del lander britannico era quello di condurre analisi astrobiologiche alla ricerca di tracce di vita su Marte.

Beagle 2, però, non ha per nulla le sembianze di una nave. Somiglia piuttosto a un enorme orologio da taschino che, una volta aperto in due, dispiega una serie di petali tutti uguali fatti di celle solari. Dall’alto sembra un enorme fiore che, al posto dello stelo, ha un braccio robotico dotato di una telecamera, quella che avrebbe dovuto scattare immagini del suolo marziano circostante.

Beagle 2, lo dicevamo, era un passeggero di Mars Express, un orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea concepito alla fine degli anni ’90 e progettato in breve tempo. Erano gli anni in cui cominciava l’esplorazione di Marte. La NASA ci aveva già provato due volte nel ’99, fallendo. Ma di questo parleremo in un’altra puntata. Per l’ESA, invece, era la prima volta.

Mars Express, la missione, come abbiamo appena sentito nel servizio della BBC, che doveva battere l’America nella gara per la scoperta della vita su Marte, fu approvata nel novembre 1998 per essere lanciata a giugno 2003. Meno di 5 anni per progettare e costruire una missione interplanetaria sono davvero pochi, ma Mars Express poteva contare sul riutilizzo dell’esperienza e della tecnologia già costruite per Rosetta, un’altra missione diretta verso una cometa che sarebbe dovuta partire poco prima dello stesso anno. Mars Express era quindi una sorta di “usato sicuro”, scrive Ferri nel suo libro. Una delle linee guida fondamentali per la preparazione della missione Mars Express divenne il riutilizzo di tutto, ma proprio tutto, quello che veniva prodotto per Rosetta. Di Rosetta, comunque, parleremo in un’altra puntata.

Tutta questa fretta per partire nel 2003 era giustificata dal fatto che quello sarebbe stato un anno molto favorevole ai lanci verso Marte, perché il pianeta era abbastanza vicino alla Terra. È una configurazione che si ripete circa ogni 2 anni, e l’Agenzia Spaziale Europea aveva calcolato che, per una missione di medie dimensioni come Mars Express, che portasse a bordo anche un piccolo lander del peso di 73 kg, Beagle 2 appunto, era possibile lanciare con un razzo Soyuz e raggiungere il Pianeta Rosso in 6 mesi.

Torniamo quindi alla mattina di Natale del 2003. A Londra, nella sala controllo di Beagle 2, dalla superficie di Marte, regna il silenzio. Dopo il distacco da Mars Express 6 giorni prima, di Beagle 2 si persero le tracce. Prima di dichiarare perso il lander, comunque, ci volle più di un mese.

Vi prego di non andar via. Penso al lander mentre si sente in questa conferenza stampa avvenuta poche ore dopo il mancato segnale. La verità, però, è che nessuno aveva la minima idea di cosa fosse successo, perché era previsto che Beagle 2 non comunicasse fino a dopo l’atterraggio, dopo aver aperto tutti i petali con i pannelli solari. Per questo, la prima cosa che Ferri mi ha detto durante il nostro incontro è che dal fallimento di Beagle 2 non abbiamo imparato niente. Nel senso che noi lavoriamo con la telemetria: noi impariamo dalla telemetria. Se abbiamo un problema, lo riconosciamo dalla telemetria, lo analizziamo, lo risolviamo grazie alle informazioni che riceviamo. Se non abbiamo questi dati, non impariamo niente da questo problema.

Nel caso di Beagle 2, è stato appunto un errore strategico quello di fare la discesa, diciamo tutta la fase di entrata, discesa e atterraggio, per definizione senza contatto radio. Ora, questo periodo, che è stato di qualche giorno dal momento in cui Beagle 2 si è separato da Mars Express al momento in cui ha toccato terra, era previsto che il trasmettitore fosse spento. Quindi ha fatto tutta questa fase molto critica, la prima volta che si eseguiva, senza mandare informazioni. Quando poi ha toccato terra, era previsto che cominciasse a inviare informazioni. Noi non le abbiamo ricevute e praticamente da questa fase siamo rimasti completamente al buio. Dal momento in cui l’abbiamo sganciato, non abbiamo la più pallida idea di cosa sia successo.

Valentina Guglielmo: La telemetria di cui parla Ferri è l’insieme delle informazioni che il satellite manda via radio alla Terra. Sono informazioni su quello che sta facendo, quali unità sono accese, quali spente, qual è l’assetto, in che direzione si sta girando, quali sono le temperature, i voltaggi, e infine tutti i messaggi inviati dal computer di bordo. È l’unico contatto sempre attivo con il satellite e l’unico modo per sapere cosa sta succedendo a bordo, per rendersi conto se c’è un guasto o un problema.

Nella sala controllo di Mars Express, al centro controllo missioni di Darmstadt, dove c’era anche Ferri, le notizie erano buone. La sonda aveva appena completato la sua manovra di inserimento in orbita e tutto stava andando secondo i piani. Per l’Agenzia Spaziale Europea era un bel Natale.

Ferri: Assolutamente, e nessuno… nessuno appunto. Sì, probabilmente c’era preoccupazione: chissà cosa è successo con Beagle 2. Però non avevamo nessuna indicazione, né positiva né negativa. Era previsto di non averla, quindi ci siamo gestiti questa grande felicità dell’entrata in orbita. Prima volta per l’Europa, prima volta per noi. Era la fine di una crociera faticosissima di Mars Express, ne sono successe di tutti i colori. Era la prima vera missione interplanetaria che facevamo. Quindi eravamo arrivati a Marte, era l’obiettivo, ed era l’inizio di una nuova avventura. È stato un momento bellissimo quello e Beagle 2 era lontano.

Valentina Guglielmo: Com’è stata vissuta questa cosa di Beagle 2 all’interno dell’ESA?

Ferri: All’interno del nostro team è stata vissuta in modo abbastanza sereno, se vogliamo. Chiaramente era una cosa che ci ha occupato tanto. Quando nel nostro lavoro si è alla ricerca di un segnale che non arriva, è molto… non è un’esperienza buona, è frustrante, è angosciosa tante volte. Noi lavoriamo con il segnale radio, con la telemetria, ma anche con il segnale radio, e senza questa cosa non possiamo lavorare. Quindi in tanti casi l’abbiamo vissuta ed è sempre un momento tremendo. Lì è durato per settimane, quindi non è stato piacevole. Però il nostro lavoro era di occuparci di Mars Express. Quindi anche le informazioni che mi arrivavano erano su Mars Express, prima volta che entravamo in orbita attorno a un pianeta per l’Europa, era un momento importante e quindi ci siamo occupati di quello. Nessuno si è preoccupato di Beagle 2 in quel momento perché non era previsto. Dal giorno successivo, per le settimane successive, credo che abbiamo cercato fino a febbraio di ascoltare. Anche i colleghi americani hanno provato ad ascoltare questi segnali che non sono mai arrivati.

Valentina Guglielmo: Dal punto di vista della comunicazione cosa è passato di più? Il successo di Mars Express o l’insuccesso di Beagle 2?

Ferri: È stato molto delicato. Sono stati fatti anche probabilmente degli errori nella comunicazione, non è stato facile gestire questa situazione. C’era chiaramente un fallimento, non si aveva la più pallida idea di cosa fosse andato storto. Il veicolo era britannico, quindi c’era il governo britannico, c’era questo Colin Pillinger che se ne era occupato. Insomma, in quei mesi è durata tanto la storia. Poi c’è stata la commissione di inchiesta, eccetera. Il management dell’ESA ha dovuto gestire questa situazione. Chiaramente c’è stato un’attenzione sul fallimento di Beagle 2 superiore a quello che l’ESA avrebbe previsto e si sarebbe augurata, perché per noi era il grande successo di arrivare a Marte. C’eravamo portati questo passeggero che si era perso. In fondo il nostro lavoro l’avevamo fatto bene perché l’avevamo sganciato nel modo giusto, l’avevamo portato fino lì, eravamo tutti contenti. Ma è chiaro che quando c’è un fallimento, questo prende più importanza di quello che uno si augurerebbe. Tutte le cose positive passano in secondo piano.

Facendo una ricerca fra le testate che hanno parlato di Beagle 2 all’epoca, testate come il New York Times, Nature o The Guardian, si leggono racconti sui fatti dei primi mesi e il mistero nato attorno al lander. Soprattutto, si legge della tensione fra l’ESA e i partner britannici. Titoli come “No Signal from Mars, British Disappointed” o “Beagle 2 Bites Back”, che alla luce di quel che viene scritto si potrebbe tradurre con “Beagle 2 la paga cara”. Si alternano dichiarazioni che dicono di non perdere la speranza di ritrovare il lander ad altre che accusano l’ESA di aver forzato gli inglesi ad attenersi ai requisiti di Mars Express per costruire il loro lander, sacrificando invece i loro requisiti. Questo, secondo gli inglesi del team di Beagle 2, avrebbe preparato il terreno al fallimento. Insomma, si cerca un colpevole. In questa situazione c’è una grandissima pressione sia sul management dell’ESA che sui britannici. La stampa, l’opinione pubblica, i politici… “Hai fallito, dimmi cosa è successo”. Quindi la tentazione di andare a cercare le colpe dalla parte dell’altro partner è sempre molto forte. Io credo che in questo caso, come sempre, le colpe vadano divise forse anche in parti uguali. Comunque ci sono colpe da entrambe le parti. Io credo che sia i britannici che l’ESA abbiano preso molto sotto gamba l’atterraggio su Marte. L’idea era “ma sì, questo qui è un cosino da 60 kg, è tutto semplice, un piatto, non ha neanche i retrorazzi, si butta giù… cosa vuoi che succeda?”. Onestamente, a me sembra una leggerezza, visto che uscivamo di recente da una serie spettacolare di fallimenti su Marte.

Su Beagle 2 si sono perse le speranze poco più di un mese dopo il presunto atterraggio, il 6 febbraio 2004, quando il lander fu dichiarato perso. Dodici anni dopo, il Mars Reconnaissance Orbiter della NASA, con la sua fotocamera ad alta risoluzione, scatta una foto di Beagle 2. Scrive il New York Times: emerge che dopotutto Beagle 2 su Marte ci è atterrato, ma non ha mai chiamato casa. Nell’immagine si vede infatti che il lander non si è schiantato ma è atterrato in maniera apparentemente sicura, aveva anche cominciato ad aprire i petali che erano chiusi sulla sua superficie, senza però riuscire a portare a termine l’operazione e quindi non riuscendo a comunicare. Non scopriremo mai perché si siano interrotte queste operazioni, perché l’atterraggio è avvenuto alla cieca.

Nei 12 anni trascorsi da allora, comunque, la NASA ha inanellato una serie di successi per quanto riguarda l’esplorazione marziana, inviando sonde come Mars Odyssey o Mars Reconnaissance Orbiter che ha trovato Beagle 2, e superando l’Agenzia Spaziale Europea con i suoi lander Spirit, Opportunity e Curiosity. Ma anche la NASA, prima di questi successi, veniva da una serie di fallimenti e di errori incredibili che hanno fatto molta polemica. Il momento più drammatico dell’esplorazione marziana era proprio tra la fine degli anni ’80 e gli anni ‘90, dove tutti fallivano uno dietro l’altro. Decisamente i grandi fallimenti del ’99 degli americani, Climate Orbiter a settembre e Polar Lander a dicembre, hanno impresso una svolta pesante nel modo di affrontare le missioni, e soprattutto le missioni marziane. Per gli americani, tanto di cappello, hanno veramente accettato che erano sulla strada sbagliata, che stavano facendo le cose troppo alla leggera, risparmiando soldi, testando meno. “Faster, Better, Cheaper” era la filosofia di allora, che è durata 10 anni. Ha portato anche dei successi, ma ha portato anche a una serie di insuccessi spettacolari, che con questi due di Marte del ’99 per la NASA erano inaccettabili.

Quindi gli americani, con gli errori del decennio degli anni ‘90, da quegli errori hanno imparato. La prima cosa che hanno fatto nel 2001, avevano previsto due missioni. Sempre queste finestre ogni due anni, e hanno detto: “Con quei soldi ne facciamo una”. Questo già dimostra che avevano capito che non si arriva a Marte risparmiando, e l’hanno imparato.

Hanno fatto, come si chiama, Mars Odyssey. È ancora lì, è il più vecchio satellite intorno a Marte. Mars Express, tra l’altro, è il secondo più vecchio e funziona ancora. Mars Odyssey è del 2000-2001. Poi hanno lanciato due missioni che erano i Mars Exploration Rover nel 2003. Beati loro, hanno un sacco di fondi, quindi si possono permettere di lanciare due missioni identiche sperando che una delle due funzioni. Questo in Europa è impensabile. E, tra l’altro, hanno funzionato entrambe, come era successo negli anni ’70 con i Viking. Quindi si sono trovati due rover su Marte, e da lì non ne hanno sbagliata una.

“Non si arriva a Marte risparmiando”, dice Paolo Ferri, che nel dicembre 2003 era nella sala controllo missioni dell’Agenzia Spaziale Europea a festeggiare il successo di Mars Express e ad assistere al fallimento del primo atterraggio europeo sul pianeta rosso.

Per riprovarci, l’Agenzia Spaziale Europea ha atteso quasi 13 anni, quando ha mandato il lander italiano Schiaparelli a bordo di ExoMars TGO, la seconda sonda europea ad essere entrata in orbita attorno a Marte. Anche questa, come Mars Express, è ancora operativa. Con Schiaparelli l’atterraggio non è avvenuto alla cieca: diversi occhi da Terra e da Marte erano puntati sul lander italiano, ma qualcosa, anzi più di qualcosa, è andato comunque storto.

Parleremo di Schiaparelli nella prossima puntata, ancora insieme a Paolo Ferri. Io sono Valentina Guglielmo e quello che avete ascoltato era il primo episodio di “Houston”, un podcast di Media INAF che parla di spazio, atterraggi falliti, innovazioni disperate e soluzioni geniali.

 

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